In un mondo sempre più orientato verso la sostenibilità, le organizzazioni si stanno sforzando di dimostrare il proprio impegno verso pratiche aziendali responsabili e trasparenti. Questo il compito del «bilancio di sostenibilità», lo strumento chiave per valutare e comunicare le performance ambientali, sociali ed economiche di un’azienda. I registi principali di questa transizione sono i commercialisti, ed è proprio loro che «Agenda Brescia» ha voluto interpellare, in quanto abilitatori di un nuovo modello di cultura sostenibile; non a caso, già il 59% gestisce imprese che comunicano all’esterno le proprie azioni sostenibili. Così, in collaborazione con l’Ordine dei commercialisti e degli esperti contabili di Brescia sono intervenuti stati Silvia Mangiavini, vicepresidente settore Metallurgia, Siderurgia e Mineraria di Confindustria Brescia con delega a Legalità e Bilancio di sostenibilità, e Tommaso Fornasari, ricercatore di Economia aziendale, consulente in Sostenibilità, commercialista e revisore legale dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Brescia.
Traguardi da raggiungere
«L’obiettivo è quello di consolidare la cultura della sostenibilità fra professionisti e trasmettere l’urgenza del processo di transizione ecologica – ha sottolineato Mangiavini –. Il bilancio di sostenibilità è un documento cruciale che non solo offre una panoramica dettagliata delle attività svolte da un’organizzazione, ma evidenzia anche come queste impattino sull’ambiente e sulla società». Nel mercato attuale, allora, esistono ancora prodotti non ESG? Sempre più conosciuto anche fuori dal mondo della finanza e della sostenibilità, l’acronimo nasce nel 2005 come contenitore di tre termini chiave: Environmental (ambiente), Social, e Governance, vale a dire, tre dimensioni fondamentali per verificare, misurare, controllare e sostenere l’impegno in termini di sostenibilità di un’impresa. Per Mangiavini la risposta è no. «D’ora in poi qualsiasi prodotto verrà valutato in termini di sostenibilità ambientale, sociale e di governance». Tuttavia, come ribadito da Fornasari: «Non esiste un prodotto sostenibile se non lo è l’azienda che lo produce; bisogna rendere sostenibile l’intero processo, cambiare approccio per arrivare a una logica di produzione amplia che produca valore da condividere con gli stakeholder». Sono già molte le aziende che si stanno strutturando verso questa direzione o che hanno persino già prodotto una sorta di integrazione fra bilanci. «Nell’ambito di Futura Expo, il mese scorso abbiamo raccolto vari bilanci, scoprendo che molte aziende sono attrezzate in termini di sostenibilità. Purtroppo, però, non in tutti i settori c’è consapevolezza», ha continuato la vice di Confindustria. Guardando al futuro, per poter essere di supporto alle imprese gli studi dovranno concentrarsi sulla consulenza strategica e amministrativa, a supporto di quella finanziaria. «È dunque fondamentale agire sulle competenze per poter accompagnare le imprese in un percorso di consapevolezza particolarmente virtuoso. La sostenibilità è un tema ormai di pubblico dominio a cui è importante approcciarsi in modo genuino, senza sfociare in greenwashing – ha detto poi Fornasari –. Per fare ciò, le piccole aziende potrebbero aver bisogno di figure esterne, mentre quelle più grandi di risorse per formare i dipendenti con corsi di formazione».
Impegno nelle aziende
Tutto dipende dalle dimensioni dell’azienda, ma è viva l’impellenza di puntare sul tema delle risorse interne o competenze esterne, oltre che su nuove figure professionali. «Servono competenze specialmente sull’aspetto sociale, qualcuno che sappia raccogliere e organizzare i dati», ha confermato Mangiavini. Secondo gli esperti: «Il commercialista non deve essere un consulente esclusivo in tema di sostenibilità, ma il coordinatore di un gruppo di lavoro capace di decifrare le esigenze dell’azienda e comporre un team ad hoc, con figure che supportino egli stesso nel percorso. Si tratta di un tema che abbraccia anche un aspetto più «pop»: tutti siamo portatori sani di sostenibilità». Altro argomento trattato è stato il rapporto con le banche, un mondo in continua evoluzione che si è attrezzato in termini di sostenibilità ancor prima delle aziende. «Negli ultimi anni il rapporto banca-imprese è cambiato, passando da un rapporto personale fra imprenditore e isituto a un rapporto più asettico basato sui numeri. Oggi le banche sono strutturate al proprio interno per valutare in termini di performance ESG i propri clienti, le aziende, che non si possono più limitare a fornire bilanci di esercizio, budget e business plan, bensì anche il bilancio di sostenibilità – spiega Fornasari. – Occorre sottolineare, però, che andare a mappare l’attività di un’azienda, intervenendo sull’aspetto della sostenibilità e governance, ha risvolti positivi ma anche un costo iniziale non solo monetario, pure in termini di risorse umane, tempo e formazione, senza variare granché da grande a piccola impesa». In conclusione, nato nell’alveo delle teorie del management, il tema della sostenibilità è ancora privo di uno standard di riferimento, il che può generare confusione e non omogeneità; ad oggi, rimane infatti una scelta. «Scegliendo la sostenibilità, la remunerazione del capitale investito di un’azienda è garantita; è l’ultimo tassello di un percorso di miglioramento per generare valore. Il mondo delle imprese deve continuare a crescere e rinnovarsi, chi non lo fa è destinato a morire e a rimanere fuori dalla catena dei fornitori», chiosano i relatori.