di MIMMO VARONE

«Prospettive buone ma il cammino è lungo Risorse non infinite»

12 mag 2023
Carmine Trecroci: docente universitario Carmine Trecroci: docente universitario

La sostenibilità è il futuro della finanza. Gli investimenti dei risparmiatori su attività capaci di contribuire alla transizione verso un’economia carbon free sono in fortissima crescita. «Ci sono ancora incertezze di tassonomia e di effettivo controllo sulla destinazione dei fondi, ma il comparto è ben posizionato», conferma Carmine Trecroci, docente di Macroeconomia, Finanza ed Economia dello sviluppo sostenibile alla Statale di Brescia. Dunque, «buone prospettive per i risparmiatori, ma niente corsa a un’euforia priva di fondamenti».

Professore, la transizione a un’economia green è imperativo ineludibile, ma non richiede enormi investimenti finanziari?
Molte persone nel mondo hanno capito che c’è un limite all’espansione economica e al consumo. I cambiamenti climatici dicono chiaramente che dobbiamo abbandonare le fonti energetiche fossili per non far crescere ancora la Co2 e questo ha implicazioni sul sistema economico, che si regge sulla finanza. Per fare un esempio, un’impresa siderurgica energivora che sa di dover ridurre il carico emissivo deve cambiare tecnologia e tipo di energia. Per farlo ha bisogno di molti fondi, e somme gigantesche sono richieste dai Paesi sia avanzati che in via di sviluppo.

In uno scenario globale chi ci metterà tutti i soldi necessari?
Le maggiori richieste vengono proprio dai Paesi in via di sviluppo, che per popolazione e Pil superano il 50% nel mondo. Per la transizione energetica i sistemi industriali cinese e indiano hanno bisogno di risorse, ma le hanno in quantità insufficienti. In ogni caso, tanto per i Paesi avanzati che per quelli in via di sviluppo il primo tema è come fare per incanalare entro un decennio al massimo i mezzi finanziari verso questo obiettivo. Il secondo è che i soldi in investimenti reali dovranno metterceli i risparmiatori. D’altronde il vincolo della Co2 ha cambiato le loro preferenze e orientato i loro risparmi verso settori e attività compatibili con l’ambiente.

A che punto è questa rivoluzione?
Il rimescolamento delle prospettive sta facendo crescere tantissimo la finanza sostenibile, in futuro lo farà a tassi ancora maggiori. Ma il settore è nuovo, la tassonomia approvata dalla Ue lascia margini di incertezza e per il risparmiatore è complicato sapere se i propri fondi sono davvero destinati a usi compatibili. Spesso l’impressione è che la destinazione finale non vada proprio alla sostenibilità.

Da dove viene questa impressione?
Il problema più grosso è che la transizione ecologica porta rapidamente a zero il valore degli investimenti passati. La Saudi Aramco, la più grande compagnia di idrocarburi al mondo, trae il suo valore di mercato da quello stimato delle riserve di petrolio: se la transizione dice che non si potrà più bruciare, il valore effettivo dei giacimenti dell’Arabia Saudita crollerà a zero e gli azionisti resteranno a mani vuote. Ma questo vale anche per interi Paesi. La Russia è un petro-Stato seduto su riserve enormi di gas e petrolio che in meno di 25 anni non avranno più valore. Allora si cerca di dilazionare la transizione anche con mezzi politici. In Italia c’è Eni, controllata al 30% dallo Stato, il cui valore dipende dai giacimenti che controlla nel mondo...

Le prospettive, quindi, non sono così rosee...
Molti asset di società finanziarie sono legati a attività estrattive e fossili. Ma se tutti vendono Eni, ad esempio, e comprano fondi Esg (Environmental, social, governance), il valore di Eni crolla. Tra l’altro, molte attività sono espressione di settori destinati a crescere, ma non è detto che tutte cresceranno. Ora sono chiari alcuni fattori di rischio che non lo erano fino a ieri, la regola della diversificazione degli investimenti vale anche per il futuro.

Chi investe in Italia a cosa deve prestare attenzione?
L’automotive ha continuato a fare investimenti colossali in un settore non facile da riconvertire, ignorando che si andava verso l’elettrificazione: quegli sforzi rischiano di valere zero. Quindi la prima cosa che fanno gli industriali è chiedere fondi pubblici in modo surrettizio con il biocarburante o con la difesa del lavoro. La seconda è rifiutare il bando all’endotermico dal 2035. I produttori di componentistica dovrebbero capire, invece, che le grandi case automobilistiche hanno già deciso di abbandonare l’endotermico. Senza aspettare il 2035, Volkswagen ha stanziato 122 miliardi per convertirsi all’elettrico entro il 2027.  Come vede le prospettive dei settori siderurgico e metallurgico, che a Brescia contano tanto? La transizione ecologica avrà bisogno dei loro prodotti. I pannelli fotovoltaici richiedono supporti metallici, alle auto elettriche servono dischi freno in ghisa. Ma il problema di questi settori è l’energia. Il costo di quella fossile crescerà, devono trovare il modo di approvvigionarsi da rinnovabili, che avranno un mercato più stabile. Alcune aziende si sono mosse in tempo con contratti di fornitura a lungo termine e hanno subito meno i picchi, altre sono in pauroso ritardo.

Ma il mercato attuale quanta energia pulita offre?
In Italia il 90% dell’energia viene prodotta ancora da fonti fossili. A2A, come Enel, fa buona parte del fatturato con questo tipo di energia perché negli anni del sindaco Paroli ha investito in quella direzione. Il fatturato di Eni viene addirittura al 99% dal fossile. Ed è drammatico che continui a puntare su quello, a differenza di A2A che sta decisamente orientando gli investimenti sulle rinnovabili. Le prospettive della finanza sostenibile sono buone ma il cammino è lungo, insomma. Perciò, ripeto, nessuna euforia infondata.

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