L’Italia vive da anni un periodo di involuzione in termini di natalità. Si parla, non a caso, di un Paese sempre più vecchio e per vecchi proprio perché si fanno sempre meno figli e, soprattutto, si fanno sempre più tardi. Ogni anno infatti si aggiornano record e, tra scarsi sostegni alle famiglie e peggioramento della situazione economica a causa della pandemia, il pensiero di un figlio diventa sempre meno importante per i giovani di oggi. Le cause sono certamente molteplici: le giovani madri sono sempre meno, la permanenza nelle famiglie di origine è sempre più in aumento, tuttavia ciò che più spaventa le giovani generazioni sono le difficoltà legate al mondo del lavoro. Instabilità e precarietà creano un’enorme insicurezza e sfiducia nel futuro. A cui si aggiungono le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni. Come biasimare i nostri ragazzi? Senza un lavoro stabile e ben remunerato e con prezzi alle stelle, come fanno i giovani a potersi permettere un’abitazione propria? E soprattutto a progettare la costruzione di una famiglia?
Sono state condotte nei mesi scorsi diverse analisi tra gli studenti bresciani e ciò che è emerso è appunto una forte attenzione nei confronti del mondo del lavoro e molto meno sul desiderio di creare, ad un certo punto nella propria vita, una famiglia. Nella ricerca «Il mondo che vorrei» promossa da Confindustria Brescia si è cercato di analizzare e comprendere la sfera dei giovani di fronte alle complessità vissute negli ultimi anni. Sono state rivolte cinquanta domande agli studenti delle classi quarte e quinte degli istituti secondari di secondo grado, con 5.873 risposte, pari al 32% del potenziale complessivo della provincia, ovvero circa 18mila studenti. Sono otto le sezioni prese in considerazione dall’osservatorio: Lavoro e Impresa, Scuola e Formazione, Territorio, Relazioni Sociali e Abitudini, Pandemia, Comunicazione, Personaggi, Protagonisti e Antagonisti, Confindustria.
Tra i risultati emersi nell’indagine in tema di lavoro e impresa si vede come buona parte dei giovani aspiri a diventare imprenditore (24%). Figura di pregio e sicuramente sinonimo di stabilità economica, che si impone davanti ad altre professioni: libero professionista (15%), medico (14%) e ingegnere (13%). Perde invece sempre più appeal il mondo della metalmeccanica (solo 10%), spina dorsale del tessuto imprenditoriale bresciano, così come l’interesse per la conoscenza dei percorsi formativi ITS. Per fare un’esperienza in azienda infatti il 31% dei giovani sceglie il commercio, il 25% l’informatica-digitale, il 22% il sistema moda. Tra i dati emersi, soprattutto la scarsa conoscenza degli ITS veniva ritenuta preoccupante, anche in considerazione dei forti investimenti intrapresi su questa strada: «Dobbiamo fare ancora di più sotto questo punto di vista. Allo stesso tempo, l’alternanza scuola-lavoro è fondamentale per i giovani e per portare competenze: su questo dobbiamo investire, migliorando e modificando anche la nostra comunicazione», il commento da parte i vertici della principale associazione di industriali della provincia.
Analizzando il tema su scuola e formazione appare invece lampante come i giovani siano concentrati sulla propria economia futura nonché sulla realizzazione professionale, anziché famigliare. Il 35% degli intervistati infatti vorrebbe un maggior numero di incontri con le imprese e le aziende del territorio, il 35% un maggior numero di visite esterne, il 33% docenti più preparati, formati e motivanti. Percentuali importanti a riprova dell’interesse dei giovani in termini di formazione per il lavoro. A questo proposito il 72% degli intervistati dichiara inoltre di voler proseguire con gli studi universitari: Economia (15%), Medicina (13%) e Professioni sanitarie (13%) si distinguono come le facoltà più gettonate, mentre le lauree STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) continuano a essere poco attraenti. Forse anche perché si intravede una difficoltà maggiore in termini di ingresso nel mondo del lavoro. A questo forte desiderio di affermarsi nel mondo lavorativo da parte delle giovani generazioni hanno fatto da contraltare i risultati di un secondo report, ovvero «Mini indagine sul mismatch tra domanda e offerta di lavoro» svolta sempre da Confindustria Brescia, che vede le aziende in piena emergenza nella reperimento di figure professionali. In particolar modo per quanto riguarda ambiti strettamente legati alla natura manifatturiera del Made in Brescia: tecnici, operai specializzati e conduttori d’impianti. Emerge infatti che, su un campione di 171 imprese del settore manifatturiero (soprattutto PMI metalmeccaniche) con 18mila addetti, il 98% delle aziende ha segnalato difficoltà di reperimento per quanto riguarda i tecnici: il 46% sia per la disponibilità limitata dei candidati (gap quantitativo) che per le loro competenze insufficienti (gap qualitativo); il 14% denuncia un gap solo quantitativo, mentre il 38% un gap solo qualitativo. Le percentuali restano molto elevate sia per gli operai specializzati, per i quali il 97% delle aziende segnala difficoltà di reperimento, di cui il 49% per entrambi i gap, il 20% per il gap quantitativo, il 28% per quello qualitativo. Che per i conduttori di impianti dove il 96% delle aziende segnala difficoltà di reperimento, di cui il 46% per entrambi i gap, il 12% per il gap quantitativo, il 38% per quello qualitativo.
«Un dato davvero allarmante, che confermare ulteriormente le sensazioni di chi fa impresa ogni giorno – le parole in proposito da parte di Elisa Torchiani, vicepesidente di Confindustria Brescia con delega al Capitale Umano –. Le nostre aziende faticano a trovare profili di tipo tecnico, ovvero quelli più ambiti in una provincia strettamente manifatturiera come Brescia, dove il 65% delle imprese che sta assumendo è alla ricerca di operai specializzati e il 57% di tecnici». E oltre alla fatica nel trovare tecnici si aggiunge la difficoltà in termini di competenze. Il gap qualitativo segnalato dalle imprese infatti si concentra in modo prevalente sulle hard skills, sia per quanto riguarda i profili tecnici (85%) che per operai specializzati (72%) e conduttori di impianti (100%). «Dobbiamo intervenire lavorando sulla formazione e facendo comprendere ai giovani quali possano essere le strade migliori per garantirsi un solido futuro lavorativo - prosegue Torchiani -. Sotto questo profilo, sempre più centrali dovranno essere gli ITS, attraverso una valorizzazione degli stessi che coinvolga sia gli studenti che le loro famiglie».